La Corte di Cassazione, con sentenza del 21.03.2016 n. 11675 approfondisce la questione relativa alla cessione online di materiale pedopornografico attraverso il c.d. sexting, l’invio di autoscatti a sfondo sessuale realizzati da una minorenne.
Il caso vedeva una minorenne effettuare degli autoscatti a contenuto pornografico di propria iniziativa e senza forzature per poi cedere detto materiale, autonomamente, ad altri minorenni conoscenti (sia ragazze che ragazzi), i quali, ad insaputa della ragazzina e senza il suo consenso, provvedevano ad inviare, a loro volta, tali scatti ad altre persone.
I giudici del merito – Tribunale per i Minorenni dell’Aquila – con sentenza del 10.11.2014 di “non luogo a procedere nei confronti dei ragazzi perché “il fatto non sussiste”, ritenevano che la condotta degli imputati non fosse punibile in quanto le immagini erano state effettuate direttamente dalla minorenne stessa, senza alcun intervento da parte di terze persone.
Il Procuratore della Repubblica presentava ricorso in cassazione contro la suddetta sentenza ritenendo che l’attività vietata dalla norma riguarda la diffusione del «materiale raffigurante un minore tout court, indipendentemente da chi e come l’abbia prodotto (quindi, anche nel caso in cui sia stato realizzato autonomamente dal minore medesimo».
Tale interpretazione non è stata condivisa dalla Suprema Corte, la quale ha sostenuto che l’art. 600-ter comma 1 c.p. – richiamato dai successivi commi 2, 3 e 4 – non disciplina un qualsivoglia materiale pornografico minorile “ma esclusivamente quel materiale formato attraverso l’utilizzo strumentale dei minori ad opera di terzi”.
Pertanto la cessione di materiale pedopornografico a terzi, anche a titolo gratuito, di cui all’art. l’art. 600-ter comma 4 c.p, è punibile “a condizione che lo stesso sia stato realizzato da soggetto diverso dal minore raffigurato” dal momento che la normativa distingue «l’utilizzatore» del materiale «dal minore utilizzato».
La Cassazione ha specificato, altresì, che alterità e diversità tra autore del reato e persona offesa (minore) sono elementi costitutivi richiesti dalle norme; elementi non ravvisabili qualora il materiale sia realizzato dallo stesso minore in modo autonomo, consapevole, non indotto o costretto.
Pertanto, per essere punito, l’autore della condotta deve essere soggetto altro e diverso rispetto al minore da lui (prima sfruttato, oggi) utilizzato, indipendentemente dal fine – di lucro o meno – che lo anima e dall’eventuale consenso, del tutto irrilevante, che il minore stesso possa aver prestato all’altrui produzione del materiale o realizzazione degli spettacoli pornografici.
D’altronde, una difforme interpretazione ermeneutica delle fattispecie di reato in esame implicherebbe un’interpretazione analogica della norma palesemente in malam partem, come tale vietata dall’ordinamento, oltre che in contrasto insanabile con la lettera e con la ratio della disposizione.
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