Cosa sono i Big Data?
Nel corso degli ultimi anni è maturato un crescente interesse nei confronti dei Big Data, considerati “i nuovi giacimenti petroliferi del terzo millennio”.
L’incremento delle attività on-line, l’ampio uso di smartphone e delle piattaforme su Internet hanno comportato un aumento esponenziale dei dati generati dall’utenza, che assumono un valore rilevante per le aziende che ne entrano in possesso[1].
Le stime hanno affermato che nel 2013 la quantità di informazioni “stoccate” nel Mondo equivalesse a 1200 exabyte, dei quali solo il 2% non in forma digitale (come giornali, libri, etc). Negli ultimi dieci anni il fenomeno è in forte progressione, basti pensare che nel 2007 la mole di dati ammontava a 300 exabyte, con un 7% di informazioni non digitali, percentuale che si attestava ancora al 25% nel 2000.
Le fonti di provenienza dei Big Data sono le più disparate:
- motori di ricerca;
- siti Internet sui quali operano i cd. cookies, che memorizzano le visite e le operazioni effettuate dagli utenti;
- app;
- social networks ( Facebook, Twitter, etc.) e molti altri ancora.
I Big Data si differenziano dagli altri dati e si caratterizzano per la sussistenza delle cd. “3V”:
- la particolare estensione della quantità di dati raccolti (Volume);
- la continua evoluzione dei dati e la rapidità di analisi in tempo reale effettuata tramite l’utilizzo di complessi algoritmi (Velocità);
- la diversità e ricchezza a seconda del contenuto e del formato dei dati (Varietà).
Sempre più spesso si fa riferimento a un’altra caratteristica, quella del Valore ricavabile, che rappresenta la sintesi pratica delle 3V precedenti[2].
La capacità di acquisire ed elaborare rapidamente tali volumi (velocità) favorisce la produzione di informazioni accurate, utili anche per pianificare, ma spesso addirittura a prevedere, servizi, prodotti e offerte da indirizzare in modo opportuno alla clientela.
L’aggregazione viene: (i) operata attraverso una serie di sorgenti, tra loro differenti (varietà), in cui l’utente stesso è autoproduttore di dati e informazioni – è il caso di Facebook o WhatsApp –; oppure (ii) reperita attraverso apparecchi informatici, programmi e algoritmi più o meno sofisticati.
Perché fare Big Data?
I Big Data hanno un valore economico notevolmente rilevante:
- la profilazione degli utenti permette di proporre pubblicità mirata, calzante sulle esigenze sempre più particolari del singolo;
- la possibilità di analizzare ingenti quantità di dati consente di rilevarne correlazioni fra fenomeni, il che consente di fornire previsioni con un alto livello di probabilità statistica.
Le aree aziendali che possono trarre beneficio dall’analisi dei big data sono molteplici; è possibile partire dal marketing e le vendite, fino ad arrivare a settori come la distribuzione commerciale.
La complessità e la varietà della mole di dati disponibile permette di tracciare un nuovo profilo di consumatore, che non sarà più solo definito da elementi di utenza e dati anagrafici, ma che terrà conto anche delle attività svolte nei social network, della propria posizione territoriale, delle abitudini di frequentazione, finanche dello storico delle vendite ovvero dei flussi di transito e molto altro.
Schematizzando, la raccolta dei dati consente di inferire elementi rilevanti della propria clientela, quali ad esempio:
- Età;
- Sesso;
- localizzazione geografica;
- composizione familiare;
- abitudini alimentari;
- preferenze commerciali;
- capacità di spesa e molto altro ancora
I database realizzati si prestano sempre più spesso a utilizzi plurimi, per finalità non configgenti: ad esempio, un’impresa potrebbe processare i dati raccolti con le carte fedeltà per trarne informazioni e spunti utili alla propria attività; accanto a simili iniziative potrebbe al contempo essere anche disposta, specialmente se dietro corrispettivo, a consentirne l’analisi anche da parte dei produttori dei beni che commercializza, che potrebbero ricercare indicazioni mirate rispetto al loro segmento di attività.
Tali dati sono dunque divenuti essenziali per la crescita economica, l’offerta di servizi innovativi, la creazione di posti di lavoro e il progresso sociale, ma il loro uso può comportare anche potenziali rischi per la riservatezza delle persone.
Quali rischi?
In tema di Big Data non si può prescindere dall’impatto che essi hanno in ambito privacy.
L’uso della rete ne permette la capacità di incamerare quantità abnormi di dati che ci riguardano; i dati così raccolti rappresentano utile materiale da essere elaborato. I dati elaborati, infatti, consentono una più agevole – seppur formalmente anonima – identificazione e profilazione[3].
Ogni volta che visitiamo un sito, infatti, permettiamo – talvolta involontariamente – ad esso di inviarci dei cookies e di memorizzare momentaneamente sul nostro computer, ovvero su qualunque altro apparecchio – attraverso il quale accediamo alla rete – determinate informazioni.
Tali informazioni, almeno nel caso dei c.d. cookies di profilazione, consentono agli operatori Internet
di far apparire, sulle pagine che successivamente si stanno visitando, inserzioni pubblicitarie mirate e personalizzate, elaborate sulla base della ricostruzione delle nostre preferenze effettuata mediante l’analisi delle nostre precedenti navigazioni.
Allo stesso modo, ogni volta che viene un’app scaricata sui nostri smartphone o sui nostri tablet si consegnano indirettamente alle società che le forniscono una serie di dati che riguardano intimamente l’utenza.
Appare quindi chiaro come la difesa del diritto alla riservatezza, inteso come diritto della persona a tutelare la propria dignità e la propria libertà, rappresenta una priorità di attuazione, anzi, una vera e propria necessità.
[1] V. Mayer – Schömberg, K. Cukier, Big Data, Milano, 2013.
[2] A. Giannaccari, La storia dei Big Data, tra riflessioni teoriche e primi casi applicativi, Mercato concorrenza regole / a. XIX, n. 2, agosto 2017, pp. 307 ss.
[3] M.Bogni, A.Defant, Big Data: diritti IP e problemi della privacy, Il Diritto industriale 2/2015, pp. 117 ss.
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